Ristorante
President Pompei
Prodotti Tipici
del territorio Partenopeo
Il Pomodoro
ELEMENTI DELLA MEMORIA STORICA
Il "Pomo d'oro", ovvero, il Pomo del Peru fu visto,
al suo arrivo nel nostro paese, come una varietà sospetta
. Infatti era, allora, diffusa la convinzione, che esso fosse
tossico, misterioso, dotato di qualità afrodisiache. E
cosi che fu descritto ad esempio, da Pier Andrea Mattioli nel
suo Erbario del 1544. Il pomodoro verrà chiamato in diversi
nomi: "aurea poma", "poma amoris" "Pomo
dei mori" e, solo nel 1700 farà il suo ingresso nella
gastronomia. Tra le prime ricette di sugo al pomodoro, quella
di Francesco Leonardi cuoco di Sua Maesta Caterina II Imperatrice
di tutte le Russie.
CARATTERI DEL PRODOTTO
Il pomodoro S.Marzano e conosciuto
ed apprezzato in tutto il mondo per le sue pregevoli caratteristiche
organolettiche. Si presume, sia derivato spontaneamente da un'ibridazione
tra le varietà Fiaschella e da un ceppo locale denominato
Lampadina. Questa varietà si caratterizza per un sapore
tipicamente agrodolce, per la forma allungata della bacca, con
depressioni longitudinali parallele, per il colore rosso vivo,
per la scarsa presenza di semi e fibre placentari, per l'epicarpo
facilmente staccabile, caratteristica quest'ultima, che lo rende
particolarmente adatto alla pelatura. Altra varietà diffusa
nella Regione, e precisamente, nei comuni di Corbara e S. Egidio
in provincia di Salerno, e il pomodorino di Corbara, dalle bacche
di forma rotondeggiante, dal colore rosso intenso. Di dimensioni
piccole, circa 3 cm di diametro, presenta un lievissimo pizzo
verso l'apice stilare.
Aree di produzione: Napoli, Salerno
I Limoni di Sorrento
e costa d'Amalfi
ELEMENTI DELLA MEMORIA STORICA
La penisola sorrentino-amalfitana e la testimonianza del felice
connubio tra paesaggio agricolo e paesaggio naturale. A punto
che, una produzione, quella agrumicola, da a quest'area, un impronta
fortemente caratteristica, fino a divenirne simbolo . Un paesaggio
singolare, la cui bellezza, e stata più volte decantata
da artisti e poeti. La cultivar "citrus" originari,
dell'Asia Orientale é presente in questi territori già
nell'epoca, romana, come testimoniano affreschi pompeiani raffiguranti
questo prodotto ritrovati circa 40 anni fa. La vera e propri,
agrimicoltura trova il suo primo esplicito riferimento ne 1279,
epoca in cui Carlo I d'Angiò acquista, a Maiori, delle
piante scelte per arricchire la sua tenuta nei pressi di Manfredonia.
CARATTERISTICHB DEL PRODOTTO
Diffusa su entrambi i litorali, questa pianta, detta anche Limone
"ovale di Sorrento" o "Limone di Massalubrense",
deriva dall'attuale "femminello ovale", una varietà
tra le più coltivate in ambito nazionale. Essa, pero,
oltre a mantenere le caratteristiche tipiche di questa coltivata,
ne accentua alcuni aspetti di pregio. Profumo particolarmente
intenso, la quasi assenza di semi, la polpa particolarmente succosa
e dolce. Le stesse caratteristiche vanno attribuite al limone
della costa d'Amalfi, un ecotipo locale derivato in origine dalla
varietà "femminello sfusato" detto anche "femminello
di ravazzina"
Aree di produzione: Napoli, Salerno.
La mela Annurca
ELEMENTI DELLA MEMORIA STORICA
Si tratta di una varietà molto antica tanto da essere
descritta da Plinio il Vecchio nella sua monumentale enciclopedia
"NATURALIS HISTORIA" e indicata come "MALA ORCULA"
perché prodotta a Pozzuoli intorno all'orco (oltretomba,
inferi) da cui, quindi, il
nome "adorcule" ed "anorcule".
CARATTERI DEL PRODOTTO
La mela annurca, originaria dell'agro-puteolano, possiede caratteristiche,
organolettiche (sapore, profumo, aroma,), nutritive, valore dietetico
della fibra degli zuccheri e degli acidi organici, che non trovano
riscontro in altre varietà'. Inoltre, al pari delle altre
coltivate, e ricca di vitamine B 1,B2,PP,C, di potassio, fosforo,
ferro, zolfo. Inoltre, essa e un ottimo tonico muscolare, nervino,
antireumatico, diuretico, protettore gastrico, decongestionante
epatico ed oltre. Si capisce, dunque, perché
viene definita la Regina delle mele, ed è senza dubbio
il fiore all'occhiello della melicoltura campana.
Aree di produzione: Avellino, Benevento, Caserta, Napoli
La Mozzarella di bufala
campana
ELEMENTI DELLA MEMORIA STORICA Le prime inconfutabili testimonianze
della presenza del bufalo in Italia risalgono tra il VII e l'VIII
secolo, anche se, nelle cronache, i riferimenti ad esso, ed ai
prodotti caseari,* ottenuti con il suo latte, si hanno a partire
dal XII e XIII secolo. Ciò e' spiegato dal fatto che ,1'impaludimento
delle pianure costiere del basso versante tirrenico, è
un fenomeno che si completa all'incirca nel XII secolo, e, da
allora, le piane del Volturno e del Sele assumono caratteristiche
ambientali più adatte per l'allevamento del bufalo. E'
nel 700 che il bufalo e' descritto in letteratura in alcuni diari
di viaggio. Goethe ad esempio, nei suoi appunti, a proposito
di una visita a Paestum, nel 1787,scrive:"la mattina dopo
per tempisimo trottammo per vie impraticabili e qua e la paludose,
fino al piede di due belle montagne, attraversando canali e ruscelli,
e incontrando bufali dall'aspetto di ippopotami e dagli occhi
selvaggi ed iniettati di sangue."
CARATTERI DEL PRODOTTO Il latte di bufala, il solo utilizzabile,
per legge, nella preparazione della mozzarella possiede delle
caratteristiche che, solo in linea generale si possono dire simili
al latte vaccino. Ad esempio: differenze di natura chimica e
chimico fisica, come il maggiore contenuto di grasso e di proteine
che incidono sulla resa di caseificazione (un q.le di latte di
bufala equivale a 25 kg di prodotto contro i 13 kg derivanti
dal latte vaccino), la diversa composizione caseinica, la natura
microbiologica del latte, che, nel caso del latte di bufala,
fa riscontrare la presenza di ceppi di lattobacilli, anch'essi
concentrati in modo superiore al latte vaccino. L'attività
metabolica dei ceppi e le differenze su menzionate, sono causa
della qualità' del sapore e dell'aroma di questo formaggio,
ovvero, della sua tipicità.
Aree di produzione: Caserta, Salerno, Napoli.
IL PECORINO
ELEMENTI DELLA MEMORIA STORICA
Il pecorino e' senza dubbio uno dei formaggi più antichi.
Del formaggio pecorino, hanno scritto Ippocrate, Galeno, Plinio
il Vecchio. Anche Virgilio parla nelle sue opere del "cacio
pecorino". Diversi sono i tipi di pecorino e di caprino
prodotti in Campania, prevalentemente nelle zone interne. Di
particolare tipicità e pregio, e' il pecorino LATICAUDA.
Spesso il suo nome e associato a quello di Franzese, piccola
frazione di S.Marco dei Cavoti ,dove il prodotto e particolarmente
pregiato. Noto dai tempi antichi ,alla fine del XIV secolo, già
celebre per la sua bontà, dovuta alle erbe spontanee della
montagna e tra queste soprattutto al trifoglio ladino.
CARATTERI DEL PRODOTTO
Formaggio a pasta dura, prodotto con latte di pecora di razza
laticauda, la sua naturale fragranza è favorita dal basso
contenuto di acido capronico e caprilico responsabili solitamente
di odori molto forti. La sua pezzatura e variabile tra 1 e 3
kg, l'altezza può raggiungere 12 cm., ed il diametro 20,
presenta, inoltre, una crosta dura e di colore nocciola.
Aree di produzione: Benevento.
La Pastiera
ELEMENTI DELLA MEMORIA STORICA
La pastiera, sia pure in forma rudimentale, accompagno le feste
pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali
le sacerdotesse di Cerere portavano in processione 1'uovo, simbolo
di vita nascente. Questa specialità risale alle focacce
rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate
dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella
sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale.
La versione attuale e' attribuita alla pace segreta di un monastero
dimenticato napoletano, per opera di una ignota suora che volle,
in questo dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse il
profumo dell'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta,
mescolo una manciata di grano, che, sepolto nella bruna terra,
germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova,
simbolo di nuova vita, l'acqua mille fiori, odorosa come la primavera,
il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia. Alcuni documenti
testimoniano la bravura delle suore dell'antico convento di San
Gregorio Armeno, maestre nella manipolazione della pastiera che
confezionavano per le tavole delle dimore patrizie e della ricca
borghesia di allora.
La tipicità di un
prodotto è data dalla concomitanza di alcuni fattori:
LA MEMORIA STORICA DI UN PRODOTTO
ovvero la sua appartenenza alla tradizione e cultura locale compresa
la tradizione orale, canti, proverbi, leggende, testimonianze
scritte ed iconografiche.
LA LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA DELLE AREE
DI PRODUZIONE ovvero la peculiarità pedoclimatica
da cui derivano date caratteristiche organolettiche
LA QUALITA' DELLA MATERIA PRIMA IMPIEGATA
NELLA SUA PRODUZIONE E LE RELATIVE TECNICHE DI PREPARAZIONE.
L'insieme di questi fattiri, presenti in un prodotto, fa si
che esso possa essere definito "TIPICO"
In Campania i due terzi della produzione agricola sono rappresentati
da prodotti tipici.
Prodotto
Caciocavallo Silano AV,BN,CE,NA,SA DOP
Carciofo di Pestum SA IGP
Castagna di Montella AV IGP
Castagna di Serino AV IGP
Castagna Tempestiva del vulcano di Santa Croce CE IGP
Marrone di Roccadaspide SA IGP
Fico bianco del Cilento SA DOP
Limone costa d'Amalfi SA IGP
Limone di Sorrento SA IGP
Mela Annurca Campana AV,BN,CE,NA,SA IGP
Mozzarella di Bufala Campana CE,NA,SA DOP
Nocciola di Giffoni SA IGP
Nocciola di Mortarella Campana AV,NA IGP
Olio Extravergine di oliva "Cilento" SA DOP
Olio Extravergine di oliva "Irpinia" AV DOP
Olio Extravergine di oliva "Penisola Sorrentina" NA
DOP
Olio Extravergine di oliva " Delle colline Salernitane"
SA DOP
Olio Extravergine di oliva "Sannio" BN DOP
Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese Nocerino SA DOP
DOP : Denominazione di Origine Protetta
IGP : Indicazione Geografica Territoriale
Altri Prodotti
Campani:
Carciofi di Schito Castellammare di Stabia NA
Pinoli di Santa Maria La Bruna Torre del Greco NA
Pomodori di Corbara S. Egidio SA
Peperoncini verdi " Ciummarielli" Torre del Greco NA
Cavoli Pompeiani Pompei NA
Fior di Latte di Agerola Agerola NA
Ricottine di Agerola NA
Provolone del Monaco Vico Equenze
| Ricette
|
Il Mangiar della cucina
campana
Purtroppo anche i cibi, sotto la spinta livellatrice della civiltà
industriale, sono andati unificandosi .Non diversamente dalla
lingua. E ciò ha comportato la nascita di una "cucina
italiana", vale a dire nazionale, a tutto scapito delle
"cucine regionali" le quali costituivano un patrimonio
di sapori particolari che rendeva molto variato, ancora trent'anni
fa, un viaggio gastronomico nel nostro Paese. Donde la rinata
esigenza, sempre più largamente diffusa, di "mangiare
dialettale", come soleva esprimersi, con indubbia efficacia,
quel maestro di pedagogia e di gastronomia che fu Luigi Volpicelli.
E "mangiar dialettale " significa recuperare il gusto,
oltre che la memoria, di quel retaggio di cultura e, quindi,
di civiltà che sono le nostre cucine regionali, un retaggio
che altrimenti rischia di andare, per insipienza e trascuratezza,
irrimediabilmente perduto .Muoviamo quindi alla ricerca della
genuina, schietta, tipica cucina della Campania, quella che si
tramanda da una generazione all'altra, la quale potrà
essere povera quanto si voglia, ma e pur sempre ricca, anzi ricchissima,
di umori e di estri, di geniali trovate e di gradite sorprese.
Data la ristrettezza dello spazio, segnaliamo soltanto alcuni
piatti caratteristici, limitandoci a notare che essi recano in
se 1'impronta di una regione fortunata per i magnifici prodotti
della sua terra e del suo mare, onde 1'indovinato appellativo
di "Campania felix"; recano 1'impronta delle sue nobili
e gloriose, tradizioni, delle sue tormentate vicende sociali
e politiche, dei propri costumi di vita che si riflettono, immancabilmente,
nella cucina. E prendiamo 1'avvio dal pranzo di Pasqua che prevede
tre "grandi" piatti tradizionali: la minestra maritata,
1'agnello o capretto al forno e la pastiera. Della minestra maritata,
detta pure pignato grasso, se ne stava perdendo ( ahinoi ) perfino
il ricordo, pur avendo dominato, incontrastata, sulle mense napoletane
prima dell'avvento dei maccheroni, che risale al Seicento. Celebrata
in versi, già nel '500, da Giambattista del Tufo come
"buon mangiare che noi con studio assai lo solem fare"
e via via decantata e descritta come "il più napoletano
dei piatti" dai cultori di gastronomia campana, da Ippolito
Cavalcanti a Mario Stefanile, il quale la definisce "pietanza
di alto antiquariato del gusto" e, ancora,"incunabolo
prezioso e raro", la minestra maritata e andata lentamente
emergendo, nella realtà gastronomica napoletana, vuoi
perché rilanciata dall'"Ordine napolitano del pignato
grasso", costituito nel 1963 e ora purtroppo languente,
vuoi perché riproposta in versioni moderne, che la rendono
meno elaborata e più leggera, dai recenti autori di trattati
culinari. Sicché oggi la minestra maritata e tornata in
auge nelle famiglie legate alla tradizione e in parecchi ristoranti,
trattorie, osterie della Campania, specie dell'entroterra, dov'e
più facile trovare gli ingredienti, adatti per ammannire
questo piatto invitante, buono e saporoso quasi emblema dell'estro
di un popolo - come rileva Margherita Volpi - che da piccole
ed umili cose, da comuni verdure e da ritagli di carne fresca
o salata riesce a comporre una sinfonia di sapori, un'armonia
di odori, quasi un rituale dell'unita domestica. In quanto al
vino, il piatto esige un "rosso" generoso, come il
Solopaca o il Lettere, il Vesuvio o il Cilento, il Falerno o
il Tramonti, e via dicendo: uno dei tanti "rossi",
insomma, che la Campania produce per i migliori abbinamenti possibili
con le sue pietanze tipiche. Sull'agnello o capretto al forno
non dobbiamo spendere molte parole perché gode di fama
imperitura: la squisitezza delle tenere carni sommerse nel sugo
profumato, con il gusto delle patate crogiolate al punto giusto,
ne fanno un "secondo" sopraffino degno della mensa
di un re. E' piatto della tradizione che resiste al tempo e celebra,
intatto e intangibile, il ritorno festoso della primavera, il
trionfo della resurrezione di Cristo. Sposiamolo a uno dei "rossi"
sopra citati oppure ad un Aglianico del Taburno, a un Barbera
di Castel San Lorenzo, a un Guardiolo, a un Ischia o Capri, soltanto
rossi s'intende, ed infine (perché no?) ad un eccellente,
nobile Taurasi. La pastiera, secondo Settimia Cicinnati, e una
gara, un continuo sopraffarsi fra il gusto e 1'olfatto: profumatissima,
morbida, dolcissima, e il dolce pasquale a cui non si resiste.
Senza dubbio, infatti, questa torta e la regina della Pasqua,
la festa dei piccoli e dei grandi: torta delicata e ricca, fatta
di pasta frolla ripiena di grano bollito nel latte, di cannella
e di zucchero, di ricotta fresca di pecora e di uova, di frutta
candita e di cioccolata, il tutto profumato di acqua di fiori
d'arancio. Non tralasciamo di centellinarvi su un bicchierino
di liquore ai quattro agrumi o di liquore d'erbe di Montevergine
o di Strega o, se preferite, di nocillo. Ma le pietanze rituali
della Pasqua non sono tutte qui. Lo stesso antipasto, nel menu
della ricorrenza festiva, comprende ricotta salata di Montella,
salame di Secondigliano o Mugnano del Cardinale, capocollo di
Giugliano, soppressata di Nola o di Benevento. E, inoltre, uova
sode incastrate e cotte al forno nel "casatiello":
quel pane rotondo di farina impastata con sugna, pepe, sale e"cicoli",
sul quale, come dice un proverbio, "nc'iazzecca 'o bicchiariello"
(ci sta proprio bene un bicchiere di vino). Anche il mare, naturalmente,
fa la sua parte, ma soprattutto alla vigilia, quando carni e
pietanze grasse sono bandite dal desco. Allora si svolge la fiera
dei più svariati pesci del golfo, anzi dei golfi campani:
dai comuni molluschi alle pregiate aragoste. Ricorderemo qui
soltanto la squisita zuppa di vongole, oppure le linguine alla
marinara e i polpi alla luciana, ma quelli veraci, scelti tra
i più piccoli, cotti nel pentolino di creta, con olio
e pomodoro, un trito di prezzemolo ed aglio, poco sale. Sono
bocconcini ghiotti e fragranti, che fanno leccare i baffi ai
buongustai: non meno, pero, dei classici vermicelli con le vongole
che Giuseppe Marotta proclamava il suo piatto preferito e decantava
con briosi versi dialettali. In quanto al vino, non c'è
che 1'imbarazzo della scelta tra i tanti bianchi pregiati della
Campania: dalla Falanghina dei Campi Flegrei al Greco di Tufo,
dal Fiano di Avellino al Biancolella d'Ischia, dal Ravello della
Costa d'Amalfi al Lacryma Christi del Vesuvio, e cosi continuando.
Ma la gastronomia della Campania non si esaurisce ovviamente
in questi piatti rituali della Pasqua. Con il risveglio della
natura, essa si arricchisce dei freschi prodotti della terra,
specialmente ortaggi e verdure, e s'insaporisce di quegli aromi
- sedano e rosmarino, prezzemolo e basilico, menta e origano
- che, come ricorda Vittorio Gleijeses, usati con larghezza,
in sapienti miscugli, in abili triti, con un innato sfruttamento
artistico del colore, danno sapore e piacevolezza ai cibi più
semplici e modesti. Che dire, poi, dei prodotti caseari"dalla
mozzarella al caciocavallo, dal burrino alla scamorza, che raggiungono
un alto grado di raffinatezza per la bontà dei pascoli
rinnovati, mentre il mare diviene più pescoso lungo la
fascia costiera, dalla foce del Garigliano fino a Sapri, e il
pesce guadagna in gusto ciò che perde in grasso? E' tempo,
ora, di percorrere itinerari gastronomici che, dalla costa spingendosi
verso 1'interno e dall'interno ritornando alla costa. tramano
una fitta rete di piacevoli scoperte culinarie - una specie di
surreale geometria gastronomica - capaci di esaltare la cucina
partenopea-campana nella sua poetica, versatile, rurale semplicità.
Prima che avanzi 1'estate, troveremo ancora una gustosa Lasagna
imbottita, quel "monumento barocco di prodigalità
fantastica" come qualcuno la definii; oppure un robusto
Timballo di maccheroni che ha per degno confratello il solenne
Sartu di riso, un piatto napoletanissimo che di francese ha solo
il nome. Ma troveremo sempre, anche d'estate e nelle molteplici
varianti locali, Cannelloni e Gnocchi, Fusilli e Orecchiette,
Lagane e fagioli, Risotto alla pescatora e Zuppa di ceci, Minestrone
e Paccheri al ragù. E non e tutto, naturalmente, per quanto
riguarda i "primi". Sui "secondi", poi, non
la finiremmo più, incerti tra una sontuosa Braciola al
ragù e due Salsicce con friarielli, un Mussillo di baccalà
e una Costata alla pizzaiola, una Grigliata di pesce e una Bistecca
al re Franceschiello, specialità di Caserta, un Cinghiale
di Calitri alla contadina e un Sarago al forno, un Coniglio all'ischitana
e un Pollo all'avellinese, due Peperoni di Nocera imbottiti e
due Quaglie con piselli alla mondragonese, due Calamari all'amalfitana
e tre Saltimbocca di Sorrento. I vini giusti (bianchi, rosati
e rossi) per celebrare nozze felici con questi piatti ce ne sono,
e come., per cui in Campania non esiste "buon mangiare"
senza, contemporaneamente, "buon bere". Circa gli ortaggi
e le verdure, rischieremmo di perderci nel "mare magno"
di melanzane e peperoni, spinaci e patate, carciofi e pomodori,
zucchini e scarole, piselli e fagiolini, broccoletti e insalate,
che stimolano 1'estro a inventare contorni e pietanze di nuovo
genere. E senza indugiare sulla bontà dei formaggi, freschi
o stagionati che siano, sui quali domina la mozzarella che ha
la patria proprio qui, in Campania, nelle piane del Volturno
e del Sele; e neppure sulla frutta tanto varia e saporosa di
questa regione verace, puntiamo di corsa sui dolci che fanno
degna corona a sua maestà la "Pastiera". E potremo
gustare, allora, la classica Zeppola di San Giuseppe e il non
meno classico Babà, la Cassata napoletana e i Cannoli
con la ricotta, il Montebianco (dolce di castagna e panna) e
la Torta di crema e fragole, il Soffiato di Albicocche e gli
Struffoli. Ma una gita può essere giustificata anche dall'interesse
o desiderio di conoscere sul posto qualche "specialità"
locale più o meno ignota e più o meno inconsueta:
e allora possiamo recarci a Maiori (SA) per gustare le melanzane
con la cioccolata (un piatto eccezionale di alta pasticceria)
e ad Amorosi (BN) per il sanguinaccio dolce; a Statigliano (CE)
per il ricercato formaggio Saticulano di gusto piccante e a S.
Antimo (NA) per il rustico "Samurchio"; ad Avellino
per un piatto di "pacaturelle" (involtini e coratella
di capretto) e li vicino, ad Ospedaletto, per uno di "pepaine"
(peperoncini con patate e costolette di maiale); a Ricigliano
(SA) per un piatto sacrale di "cuccive" (a base di
grano, fave e ceci cotti) e a Calabritto (AV) per le fritelle
di castagnaccio, a Morcone (BN) per la "zaonda" (un
buon piatto contadinesco) e a Battipaglia (SA) per le mozzarelline
di bufala alla panna; a Bagnoli Irpino (AV) per 1'insalata con
tartufo e a Monteforte (AV) per la tortiera di ovoli: E ancora,
a Ravello (SA) per i soavi crespolini alla ricotta e a Bisaccia
(AV) per 1'abbacchio e gli asparagi; a Grazzanise (CE) per la
"paparara" (oca ripiena al forno) e a Frigento (AV)
per i cavatelli con broccoli di rapa; a Benevento per i carciofi
alla mozzarella e a Roccadaspide (SA) per i "raffaiuoli"
con il sugo di salsiccia; a Corleto Monforte (SA) per le scarole
imbottite e a Pietrelcina (BN) per le tagliatelle al ragù
di carciofi; a Dentecane (AV) per un soave torrone dai molti
gusti e a Petina (SA) per un delizioso liquore o gelato alle
fragoline di bosco. E potremmo continuare ancora per molto, nell'indicare
le soste di un itinerario gastronomico assai dilettevole, se
qui non dovessimo far punto. Non senza, però, aver prima
ribadito la nostra convinzione che la cucina campana, in sè
povera e frugale, eccezion fatta di qualche pietanza festiva
e fastosa, è tuttavia ricca d'inventiva; la qualcosa dimostra
che il napoletano - campano è un buongustaio di non facile
contentatura, il quale, nonostante la modestia delle risorse,
sa mangiare. E se ciò è vero, come crediamo, gliene
rende merito quell'aforisma di Brillat Savarin, il fisiologo
del gusto, che sentenzia: "Gli animali si cibano, l'uomo
mangia, solo la persona intelligente sa mangiare".
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